Smart working al tempo del COVID-19

L’emergenza che stiamo affrontando in questo periodo a causa del COVID-19 (coronavirus) è seria e, da un punto di vista del diritto in ambito lavorativo, cerchiamo di fare qualche chiarezza.

di Maria Chiara Sicari

Con il d.p.c.m. dell’11 Marzo 2020 il Governo ha messo in campo alcune misure atte a fronteggiare, contenere e gestire l’emergenza epidemiologica.

In particolare nel settore lavorativo si parla molto di smart working o lavoro agile che altro non è che una modalità di lavoro introdotta nel nostro Paese dalla l. n. 81/2017, ovvero una «modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa».

A fronte dell’odierna emergenza, il Governo ha richiesto il massimo utilizzo di tale strumento ove possibile per imprese e datori di lavoro (art. 1 co. 10 d.p.c.m. 11 marzo 2020) e, non solo, l’art. 4 del d.p.c.m. 1 marzo 2020 ha espressamente previsto che «la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81, può essere applicata, per la durata dello stato di emergenza».

Chiaramente lo smart working ad oggi viene attuata non per le finalità ivi previste dall’art. 18 l. 81/2017, ma come esigenza di prevenire il contagio del COVID-19 all’interno dei luoghi di lavoro. La tutela del lavoratore la troviamo anche nel nostro Codice di cui l’art. 2087 che recita «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». Il datore di lavoro ha quindi l’obbligo di tutelare l’integrità psico-fisica dei propri dipendenti e, in caso di violazione, si configurerà un inadempimento in capo ad esso.

Non solo, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro precisa: «I datori di lavoro sono obbligati a verificare la potenziale compatibilità delle lavorazioni all’interno dei propri processi produttivi e di servizio con le peculiarità dello smart working, che consente di dare piena attuazione alla direttiva generale di rimanere nelle proprie case, anche per svolgere la prestazione lavorativa».

Tuttavia, affinché il datore di lavoro possa ricorrere allo smart working, è necessario che esso possegga gli strumenti tecnici e utili per tale configurazione del lavoro. Qualora l’azienda non ne fosse in grado, il lavoratore non potrà pretendere in sede giudiziale un obbligo datoriale in capo al suo datore di lavoro; egli, altresì, dovrà prevedere altre misure atte a salvaguardare la salute dei suoi dipendenti quali la turnazione, l’igienizzazione dei luoghi di lavoro, le necessarie distanze di sicurezza e così via. Diversamente, qualora invece l’azienda abbia tutti gli strumenti atti a poter svolgere il proprio lavoro con modalità agile, il lavoratore avrà un vero e proprio diritto a pretendere tale modalità anche in sede giudiziale in caso di rifiuto ingiustificato dell’azienda in cui lavora poiché potrebbe essere compromessa la sua salute e, ancora più grave, la diffusione del virus. Inoltre, qualora l’azienda fosse provvista di tali strumenti utili allo svolgimento dello smart working ma il datore di lavoro non acconsentisse allo svolgimento di tale misura, il lavoratore potrà rifiutarsi alla prestazione lavorativa a fronte, quindi, dell’inadempimento datoriale in capo al datore di lavoro, ai sensi dell’art. 1460 c.c.

Qualora il dipendente si ammalasse di Coronavirus nel luogo di lavoro, chiaramente il datore di lavoro potrebbe incorrere in responsabilità penali per i reati di lesioni personali gravi/gravissime (art. 590 c.p.) o di omicidio colposo (589 c.p.) aggravati, per lo più, dalla violazione delle norme antinfortunistiche (se non adottate le misure necessarie a prevenire il rischio di contagio dei lavoratori). In tal caso, ovviamente, dovrà essere dimostrato che il contagio sia avvenuto presso il luogo di lavoro e che non vi siano state adottate tutte le misure necessarie a prevenirne il contagio.

Si evidenzia come in questo caso bisognerà altresì provare che il datore di lavoro non abbia rispettato le disposizioni di cui l’art. 18 del d.lgs n. 81 del 2008 rubricato Obblighi del Datore di Lavoro e del Dirigente che prevede:

  • L’obbligo di fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale, sentito il RSPP e il Medico Competente;
  • richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza e igiene sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione;
  • adottare misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza;
  • informare i lavoratori dei rischi e delle disposizioni prese in materia di protezione;
  • astenersi dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un rischio grave e immediato.

Al fine di agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio, il 14 marzo 2020 le Parti Sociali – in attuazione della misura contenuto all’art. 1, comma 1, n. 9), del d.p.c.m. 11 marzo 2020, che, in relazione alle attività produttive, ha raccomandato intese tra organizzazioni datoriali e sindacali– hanno sottoscritto un “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 negli ambienti di lavoro”.

Il Governo favorisce, per quanto di sua competenza, la piena attuazione del Protocollo.

Il documento, anticipato precedentemente, tenuto conto di quanto emanato dal Ministero della Salute, contiene linee guida (articolato in 13 punti) per agevolare le imprese nell’attuazione di protocolli di sicurezza anti-contagio e fornisce indicazioni operative per aumentare l’efficacia delle misure di precauzione che sono state adottate per contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Per ulteriori chiarimenti, saremo ben lieti di ascoltare le vostre richieste e renderci utili alla loro risoluzione.

Dott.ssa Maria Chiara Sicari

Maria Chiara Sicari

 

 

 

 



Hai bisogno di una consulenza?

Contattami per una prima consulenza senza nessun impegno!