- 19 Marzo 2020
- Posted by: Marinelli
- Categoria: Diritto di Famiglia, Notizie

Uno dei momenti più critici in una separazione, è quando ognuno dei due coniugi tenta di far ricadere sull’altro la responsabilità della fine del rapporto.
Riportiamo parte di un atto giudiziario del lontano 20 A.C. dove poter attingere alcune informazioni utili, riservate soprattutto agli addeti ai lavori ma non solo.
– Sulla richiesta del presunto addebito della Separazione.
In via preliminare, si contesta l’infondatezza, in fatto ed in diritto, della richiesta di addebito che, a ben vedere, non appare specificatamente formulata nell’atto introduttivo del giudizio de quo, tantomeno nella memoria integrativa ex art. 709 II comma c.p.c., se non in via estremamente generica, superficiale e senza alcuna indicazione della data certa dei fatti, dei nominativi di persone e degli accadimenti precisi cui ricondurre il nesso eziologico causa-effetto della separazione.
– Difetto sostanziale e formale della richiesta di addebito
Nel ricorso introduttivo, infatti, parte ricorrente si limita a formulare una generica e non specifica richiesta di addebito relativamente alla condotta “irruente” che il Resistente avrebbe, a dire della Ricorrente, causato la separazione. Solo nella memoria integrativa, invece, la domanda di addebito presenta altra e diversa formulazione adducendo ad una presunta e non provata “ammissione”: “ammettendo di avere una relazione con un’altra donna”. Allegazione che non ha un riscontro probatorio ai fini della causazione della crisi coniugale atteso come “ammissione” stragiudiziale non ha valore di “confessione giudiziale” qualora debba comunque ritenersi che in una crisi coniugale in corso e, molto, molto avanzata nel tempo, un coniuge adirato e stanco potrebbe dire, manifestare, rappresentare quanto in realtà NON E’ al fine di provocare una qual reazione della coniuge.
– Difetto dell’onere probatorio dell’addebito a carico della Sig.ra MEVIA
Ai fini della domanda di addebito, l’istante ha l’indefettibile onere di provare il fatto da cui nasce la causa della separazione di cui si chiede l’addebito a svantaggio del coniuge.
…
Oltre a tale indefettibile vizio, dalle allegazioni è dato dedurre un presunto nominativo della “persona“ con la quale si ritiene che il Sig. BRUTO abbia tradito la coniuge: l’allegazione non indica la data, non indica un nominativo identificabile, non rinvia ad altro indizio che ne conduca al sollogismo di presunzione ex art. 2729 c.c. Dunque il nulla.
A ben vedere, nella copia del messaggio che si presume del 20 A.C., allorquando la crisi coniugale era già consolidata e manifestamente dichiarata e nota a tutti dal 16 A.C., si legge …..
Ora trattandosi di un procedimento giudiziale in cui la Ricorrente chiede la dichiarazione di addebito al marito e, non essendo ancora chiaro se essa attenga al tradimento o a presunti maltrattamenti espressi via whatsapp, ad ogni modo, in entrambi i casi, l’istante è obbligata a produrre prova inconfutabile dei fatti e delle accuse attribuite al coniuge.
Le allegazioni prodotte non costituiscono neppure eventuale “indizio” secondo il combinato disposto artt. 2727-2729 c.c. occorrendo, ai fini della dichiarazione di addebito, una prova certa ed incontrovertibile e comunque sarebbe successiva alla pregressa crisi coniugale
Ovvio che l’istanza è in re ipsa manifestamente PRETESTUOSA.
– Insussistenza probatoria delle presunte offese dei messaggi whatsapp
Quanto alle “offese” comunicate via whatsapp, esse non costituiscono alcuna e nessuna prova o indizio su una consolidata prassi di “maltrattamenti” o “violenze o pressioni morali” esercitate sulla coniuge atteso come riferite ad un singolo episodio. O comunque ad un singolo episodio di cui si produce “indizio” e non prova ai fini dell’attribuzione di addebito.
Quindi un fatto isolato, non datato, non reiterato e limitatamente privato! Nel senso che non può essere riferito ad una condotta maltrattante reiterata e manifestata tale per cui occorra la prova.
– Insussistenza probatoria di “ammissione di una relazione con un’altra donna”
Ai fini dell’addebito della separazione, la stessa frase riportata è esigua, insussistente.
Anzitutto, nel linguaggio giuridico processuale civilistico, l’espressione “ammissione” è inesistente. L’art. 2730 c.c. definisce la nozione di “confessione” nel senso di “dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte”. Essa può essere stragiudiziale e giudiziale ma non è una ammissione….che pertanto rinvia ad un singolo messaggio whatsapp.
Per altro, in esso, si fa indicazione ad una “relazione” ma di essa non sussistono altre prove o indizi. Una relazione con tale “Cleopatra”. Tale Cleopatra non meglio specificata non costituisce prova.
In difetto di ogni presupposto di indicazione certa, la richiesta di addebito è del tutto infondata.
– Manifesta infondatezza e contraddittorietà nella richiesta di addebito
Ciò premesso, spiegate le suddette contraddizioni, nel merito, a contenuto del ricorso per la separazione in oggetto, parte Ricorrente richiama come presunta causa di addebito la natura conflittuale del rapporto di coniugio.
Soprattutto indica (ma non precisa) come il rapporto tra coniugi sia divenuto “autoritario da parte del marito” “da oltre cinque anni”. Ovvero legittimando ex art. 2729 c.c. la presunzione indiziaria (ma non la prova!) di un rapporto che nel tempo (tanto) diventa conflittuale, lasciando presumere che tale circostanza abbia avuto presumibilmente inizio dal 15/16 A.C. laddove “oltre” non è una data certa, la prova non è stata raggiunta. E sappiamo che la dichiarazione di addebito, nella causazione eziologico, IMPONE IL RIGORE DI INDICARE DATE CERTE.
“oltre tre anni” potrebbe legittimamente riferirsi al 13, 14 o 17 A.C., data del matrimonio.
Poi, solo con la memoria integrativa ex art. 709 II co c.p.c., parte Ricorrente ricorda all’improvviso che l’addebito mirato potrebbe avere altro riscontro. E aggiunge l’allegazione “ammettendo di avere una relazione con un’altra donna”. Ma anche in questo caso, premesso come l’an debeatur sia stato completamente trasformato da “rapporto autoritario da parte del marito” a “ relazione con altra donna”, la prova impone necessariamente l’allegazione di DATA CERTA antecedente alla crisi coniugale che la medesima parte accusatrice riporta ad oltre tre anni indietro alla data del ricorso.
Insomma, nel rispetto dell’istituto che si cerca di disciplinare (la separazione) e nel rispetto della intentio e ratio legis che qui è stato deviata, ai fini della richiesta di addebito, controparte appare incoerente ed oltremodo fuorviante.
– Insussistenza dei presupposti di addebito
Cerchiamo ora di capire quali siano i presupposti per la legittima attribuzione dell’addebito della separazione così da chiarire a controparte l’insussistenza della propria richiesta.
La riforma del diritto di famiglia, lontano 75 A.C., ha realizzato la cd. “privatizzazione del rapporto coniugale” inteso come relazione intersoggettiva legata alla permanenza del consenso e finalizzato alla realizzazione degli interessi individuali dei suoi componenti. I coniugi esclusivamente.
In tale prospettiva, l’istituto della separazione personale dei coniugi costituisce un rimedio al venir meno dell’affectio coniugalis e non è un mezzo per sanzionare il presunto coniuge “colpevole” della crisi coniugale. Finalità che la Ricorrente ha meditato nel tempo conducendo il Resistente ad uno stato di DISPERAZIONE ed insofferenza della e nella vita coniugale e familiare tanto da esasperalo in orientamenti, induzioni non proprie ma indotte proprio dall’ostruzionismo e dallo strumentalismo delle liti e dei litigi e delle insofferenze che colpiscono l’80% dei matrimoni.
Questo non è addebito. Addebito non è il tradimento occasionale o “l’ammissione” indotta di avere un’altra donna perché questa è la conseguenza inevitabile cui conduce la provocazione.
Questo non è l’addebito ma, si badi bene, questo è la conseguenza di un rapporto divenuto INTOLLERABILE così come previsto dall’art. 151 I comma c.c. Ovvero, è il verificarsi, “anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, di taluni fatti che hanno reso intollerabile la prosecuzione della convivenza “ .
Le circostanze addotte da controparte, quali il rapporto autoritario, comportamenti bruschi ed intolleranti, anche eventuali distrazioni, relazioni, amicizie, modifica delle abitudini, rimproveri, alterazioni e quant’altro si voglia, non sono la causa della separazione ma la conseguenza di una crisi coniugale pregressa che vive latente e che già si manifesta all’interno della coppia fino ad arrivare alla definizione di “intollerabilità” indicata dall’art. 151 I co c.c. Tali condotte si sono verificate dopo anni dall’inizio della crisi coniugale. Ed è proprio la Ricorrente ad esporlo.
– Addebito della separazione a carico della Ricorrente
E da qui valga, ed è legittimo proporre, la richiesta di addebito della separazione nei confronti della Ricorrente avendo Ella indotto, condotto, introdotto il marito a situazioni insostenibili, intollerabili, veri atti persecutori ex art. 612 bis c.p., tali per cui la crisi coniugale dev’essere anteposta, nel tempo, alle successive reazioni provocate nella persona e nella personalità del marito che sfinito dai litigi, dalle gelosie ossessive, dalle persecuzioni, dalla sottrazione del proprio cellulare da parte della moglie che arriva a controllare le tasche, gli scontrini, i rifiuti in bagno, gli odori sulle giacche, le tracce sulle scarpe, gli orari delle uscite, i ritardi delle riunioni di lavoro…insomma il marito diventa soggetto passivo del disturbo OSSESSIVO COMPULSIVO D’ANSIA nonché soggetto vittima del disturbo OSSESSIVO COMPULSIVO DI PERSONALITA’ caratterizzato da manifestazioni di bipolarismo caratteriale.
– EPISODIO DI GRAVE GELOSIA MANIFESTATA DALLA SIG.RA BRUTO
Il maniacale stato di gelosia è stato manifestato dalla Sig.ra MEVIA in più occasioni ma uno in particolare necessita di essere rappresentato e provato attraverso l’escussione testimoniale della persona che ha presenziato personalmente e direttamente– testimonianza de relato – ai fatti.
Nel gennaio 20 A.C., i coniugi BRUTO rientravano dalla settimana balneare trascorsa in Aprutium.
Al rientro, appunto, la Sig.ra MEVIA telefonava alla cognata, la Sig.ra Caia BRUTO, sorella del Resistente, alla quale raccontava un episodio della vacanza. Esattamente, precisava come il Sig. BRUTO, in Aprutium, … e che, rientrati a casa, a Caere Vetus, …..
Dietro timore, la Ricorrente ritrattava ogni precedente dichiarazione e confessava che in realtà ….
Insomma, la MEVIA aveva dichiarato il falso. Pur di sfuggire ai timori della sua maniacale gelosia, avrebbe attribuito al marito accuse di fatti non veri.
Sebbene alla Signora si suggerisce di accertare la patologia del disturbo di ossessione compulsiva d’ansia e gelosia, di cui si chiede una specifica CTU, non vi è dubbio che la crisi coniugale sia stata causata dalle manifestazioni ossessive poste in essere dalla moglie ai danni del marito che, disperato, dopo la crisi coniugale, ha iniziato a manifestare insofferenza, stress, irritazione, nervosismo, vero e proprio bisogno di allontanarsi da una donna che ha offeso il proprio uomo nella dignità più profonda dell’essere.
– Le circostanze dell’addebito
Indagando nella crisi coniugale dei coniugi BRUTO, si rileva come l’intollerabilità della convivenza ex art. 151 II co c.c. sia stata causata da circostanze soggettive ed oggettive di intollerabilità. Per circostanze soggettive è da intendersi la penosità individuale del marito nella prosecuzione della convivenza, essendo egli sottoposto a continui atti persecutori e stalking. Si veda la recente sentenza della Cassazione Penale del 02 gennaio 2019 secondo cui è sufficiente anche una sola condotta persecutoria al fine di modificare le abitudini della persona offesa;
per circostanze oggettive, è da intendersi l’intollerabilità valutabile alla stregua dei parametri rilevabili da criteri sociali. Ovvero, destinati alla valutazione dell’Ill.mo Giudice Istruttore.
Invero, “intollerabilità della convivenza” rappresenta una clausola aperta in cui ricercare tutte le circostanze del caso concreto e non solo circoscrivere i fatti indicati da una delle due parti.
– La dichiarazione di addebito
La pretesa dichiarazione di addebito è l’accertamento giudiziale in cui la separazione è imputabile ad uno o ad entrambi i coniugi ex art. 548 II co c.c. per la violazione, colposa o dolosa, dei doveri inerenti al matrimonio purché si tratti di una violazione che per sua gravità abbia determinato la situazione di intollerabilità.
L’addebito può essere attribuito solo nel caso di inosservanza dolosa e colposa dei doveri matrimoniali: occorre un comportamento cosciente e volontario contrario ai doveri nascenti dal matrimonio. E tale NON E’ la condotta che si vuol attribuire al Sig. BRUTO il quale ha manifestato circostanze soggettive di intollerabilità alla convivenza SOLO DOPO che questa fosse GIA’ divenuta intollerabile A CAUSA delle manifestazioni da disturbo ossessivo compulsivo poste in essere dalla Resistente alla quale la crisi coniugale dev’essere addebitata poiché in assenza degli impulsi ossessivi di gelosia e persecuzioni di cui è patologicamente affetta, il Sig. BRUTO MAI avrebbe avvertito la stato soggettivo di intolleranza al matrimonio che, si ripete, è stato successivo alla crisi coniugale provocata dalla Sig.ra BRUTO.
– Nesso di causalità, quale presupposto per l’addebito.
La pronuncia di addebito non può fondarsi sulla sola presunta violazione dei doveri coniugali ex art. 143 c.c., in quanto è necessario accertare se, SE!, tale violazione sia divenuta coefficiente causale nella determinazione della crisi coniugale, ovvero se essa sia sopraggiunta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza.
Infatti, il Giudice è chiamato ad accertare il nesso eziologico della causa della separazione previa ammissione della fase istruttoria.
Quanto all’assunto “ammettendo di avere una relazione con un’altra donna”, che non è “ammissione di tradimento”, e comunque allegato da controparte, si precisa come ai fini istruttori, appunto, si richieda un nesso causale tra infedeltà – se di “infedeltà “ si tratta- e la crisi coniugale alla cui stregua l’unione matrimoniale trovi nel tradimento di un coniuge la causa diretta ed immediata della crisi stessa. Ove il tradimento si collochi in una crisi coniugale già in atto, tale nesso causale manca e la domanda di addebito dev’essere rigettata.
– Difetto probatorio
Ai fini probatorio del nesso causale tra “ammissione della relazione con altra donna” e crisi coniugale, l’Ill.mo Giudice adito si troverà, nel caso de quo, a valutare una istruttoria indiziaria basata su indizi, fatti diversi, e non prove che gravano pienamente a carico dell’istante.
– Sulla documentazione prodotta
Ai fini probatori dell’addebito, si contesta la documentazione prodotta da controparte atteso come la stessa sia ben successiva alle date relative alle origini della causazione eziologica della crisi coniugale risalente al lontano 15, 16 A.C. fino al 17 A.C., anno in cui essa si cristallizza in via irreversibile.
Si contesta altresì la validità probatoria della stessa documentazione. Essa consta di allusioni, riferimenti tratti dal cellulare del Sig. BRUTO. Ovvero da uno strumento di natura e finalità strettamente riservata. Ma, a prescindere da questo, essa non costituisce prova per un importante difetto strutturale: ai fini probatori, le dichiarazioni, conversazioni contenute in un cellulare o strumento simile, devono essere estrapolate attraverso una tecnica ben precisa che impone il ricorso ad un tecnico professionista. Egli, alla presenza di due testimoni, nonché dietro richiesta di esibizione del telefono da parte del proprietario, procede alla trascrizione del contenuto. La documentazione tratta sarà oggetto di giuramento-attestazione di veridicità ed autenticità prestata dal tecnico che ha eseguito le operazioni peritali.
Diversamente sarebbe stato necessario ricorrere alle risultanze di un investigatore privato la cui relazione può costituire piena prova all’interno della fase istruttoria.
Nulla di quanto precisato. Le fotocopie del tracciato non rilevano ai fini probatori.
– Causazione della crisi coniugale
Arriviamo dunque alle origini delle origini da cui nasce la crisi tra i coniugi BRUTO.
La Sig.ra BRUTO, in sede di udienza presidenziale ha dichiarato di svolgere il lavoro di cameriera di taverna con orario part-time. Peraltro, dichiara di percepire uno stipendio di Sesterzi 500,00 e non di Sesterzi 600,00 come invece si riporta nel ricorso introduttivo del giudizio (pag. 2) e nelle successive memorie (pag. 2). Quindi, dalla palese contraddizione si deduce come la Signora dichiari il falso o dichiari quanto vero non è.
E valga il vero come il tempo che non corrisponde all’orario di lavoro (part-time), venga destinato dalla Signora in altro investimento che sicuramente non riguarda le cure da dedicare alla figlia ormai maggiorenne, fidanzata, impegnata nella gestione dei propri interessi e studi.
Ed arriviamo al dunque.
– Sulle minacce e offese whatsapp che la MEVIA riferisce di aver subito dal Sig. BRUTO.
– Irrilevanza probatoria dei messaggi telefonici prodotti.
In questa cornice di concomitanza di eventi e responsabilità, le asserite offese e insulti e umiliazioni documentate, sono rappresentative della situazione paradossale sopra descritta.
La Signora induceva il marito alla provocazione attraverso la sua provocazione e persecuzione.
Inaspettatamente prima –prevedibilmente nel tempo- la MEVIA sopraggiungeva sul luogo di lavoro, ai pranzi di lavoro, alle riunioni e convocazioni di strategia militare, ovunque si trovasse il marito. Ogni collega rappresentava l’ipotetica amante del BRUTO.
Indignato, sottoposto a provocazioni continue, a scenate di gelosie, il marito cedeva e utilizzando un linguaggio usuale tra coniugi in lite, reagiva alla provocazione.
Insomma, è prevedibile come un marito che paga il mutuo per intero, ovvero anche il 50% che spetterebbe e spetta alla moglie, oltre tutte le spese, a fronte di richieste banali come “il pranzo per la figlia”; il “libro”; la merenda ecc….reagisce in spiccioli terminologie che sono usuali.
“*****” “*****”, ormai sono termini generici e non offendono più nessuno.
Diversamente, qualora si utilizzasse una terminologia specifica, inequivoca e circostanziata a fatti e persone, anche pubblicamente, arrivando alla diffamazione. E così non è. Nulla di pubblico.
Il linguaggio usuale e progredito utilizzato dal marito verso la moglie è un linguaggio espresso per rabbia, per provocazione, MA SEMPRE IN PRIVATO ED IN VIA CONFIDENZIALE, tra soggetti che condividono rabbia e odio reciproco e che rimane nel regime privato del rapporto di coniugio.
Il linguaggio è legittimato dalla relazione di coppia. E poi, è solo occasionale e non reiterato.
……
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