- 23 Marzo 2020
- Posted by: Marinelli
- Categoria: Diritto di Famiglia, Notizie

Cosa succede se il Tribunale fa, magari, un po’ di confusione e dichiara, i coniugi, anziché separati, subito divorziati?
Leggiamo la risposta, abbastanza tecnica, data dall’Avv. Annafranca Coppola a questo “simpatico” sbaglio che sembra essere venuto un po’ troppo incontro ai desideri dei coniugi.
Com’è noto, dopo la riforma del 2015, non bisogna più aspettare tre anni dalla separazione per divorziare ma un anno e, nei casi di separazione consensuale, sei mesi.
Invalidità della sentenza di divorzio viziata da giudizio di extrapetizione
Non dovrebbe succedere, ma nelle aule dei tribunali è già successo.
In breve.
Raggiunto finalmente l’accordo, i coniugi si recano in Tribunale con i rispettivi legali affinchè, chiamati a comparire innanzi al Presidente della Sezione Famiglia, in sede di udienza presidenziale, ex art. 708 c.p.c., lo stesso Presidente, sentiti i coniugi, fallito il tentativo di conciliazione, rediga rituale verbale ai fini dell’omologazione dell’accordo consensuale di separazione.
Autorizzati a vivere separatamente, sottoscritto l’accordo innanzi alll’Ill.mo Presidente, i coniugi lasciano il Tribunale in attesa dell’omologa che attribuirà efficacia al proprio negozio consensuale il quale, sebbene pienamente valido tra le parti, è privo di effetti.
Decorsi i tempi, i coniugi ritirano l’omologazione che non li dichiara separati ma divorziati!
Avevano chiesto –presentato ricorso consensuale- la separazione consensuale ma sono dichiarati divorziati.
Chiedevano la separazione ed hanno ottenuto il divorzio.
Affrontiamo la cosa da un punto di vista tecnico.
In buona sostanza, ci troviamo innanzi ad un problema di diritto sostanziale e formale di procedura civile e non solo davanti ad un dramma personale dei coniugi che, mai separati, sono già divorziati.
E sarebbe un dramma se si considera che con il divorzio -ovvero con la sentenza che dichiara lo scioglimento del matrimonio civile o la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario ex L. 898/70- i coniugi perdono ogni reciproco diritto successorio. Perdono lo status di legittimario in sede successoria. Viene meno l’obbligo di assistenza materiale. Obbligo che sussisteste in costanza di separazione personale con pregiudizio per il diritto all’assegno di divorzio se dovuto ex art. 5 L. 898/70, con quanto connesso ai fini del diritto alla quota del TFR ex art. 12-bis e relativa pensione di reversibilità se dovuti. Questo in considerazione dell’addebito o meno della separazione e con l’incidenza dell’assegno di mantenimento ordinario o in unica soluzione rilevante, ex art. 5 della richiamata Legge, solo per lo scioglimento del vincolo coniugale e non anche per la separazione.
A quanto solo accennato, si aggiungano tutte le disposizioni di mantenimento attinenti i figli se vi sono, nonchè alla casa familiare.
Insomma, si comprende bene come da una separazione consensuale, i coniugi si trovano innanzi ad una sentenza di divorzio e a un vizio di giudizio. Ma non di un errore materiale.
Nel caso di specie, quali sono i rimedi offerti dal diritto processuale sia formale che sostanziale?
Inevitabilmente l’impugnazione della sentenza di divorzio ex art. 161/I comma c.p.c., 339 e 360 c.p.c.
La sentenza ottenuta dai coniugi è differente dalla domanda di separazione consensuale oggetto dell’azione giurisdizionale esercitata congiuntamente, e per altro con autonomia negoziale, dai coniugi.
La circostanza investe la violazione del Principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.; il Principio della domanda ex art. 99 c.p.c.; il Principio della disponibilità della tutela giurisdizionale ex art. 2907 c.c.;
Il Principio di Corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c. è il cardine intorno al quale ruota il condizionamento formale e sostanziale del Potere dell’Organo Giudiziario non solo decisionale ma anche istruttorio qualora il provvedimento chiesto sia emanato in via istruttoria e non definitiva.
È il caso della sentenza non definitiva che dichiara i coniugi separati o divorziati disponendo il proseguimento della fase istruttoria relativamente ai provvedimenti incidenti sui figli, affidamento o assegno di mantenimento, o addebito.
Il richiamato Principio è quanto ereditato dall’antico brocardo di Diritto Processuale Romano “sententia debet esse conformis libello”, ovvero “la pronuncia deve essere conforme alla domanda” con evoluzione all’art. 112 c.p.c. che vincola il Giudice di merito a pronunciarsi entro i limiti della domanda proposta in esercizio dell’azione giurisdizionale ex art. 24 Cost. .
Come consacrato dal Chiovenda e come recepito dal Mandrioli “il giudizio non è un’attività spontanea ma un’attività dovuta e precisamente quell’attività che è dovuta in correlazione con il diritto alla tutela giurisdizionale” laddove la domanda costituisce, circoscrive, delimita l’oggetto del diritto di cui si chiede la tutela.
La domanda, legittimata dalle condizioni dell’azione, vincola la pronuncia del Giudice nei limiti in cui essa è richiesta.
La prestazione che l’Organo decisorio deve rendere attraverso la pronuncia di diritto deve avere per oggetto esclusivamente la domanda proposta con l’azione esercitata e non oltre i limiti della stessa domanda.
Lasciando da parte la problematica dell’omissione di pronuncia, e del vizio di ultrapetizione, la nostra questione investe la fattispecie del vizio di extrapetizione quale eccesso di pronuncia
Ricorre il vizio di extrapetizione quando il Giudice, nella propria pronuncia di merito- dal sillogismo sintetico tra giudizio di diritto e giudizio di fatto- incorre nell’eccesso di pronuncia.
Ovvero quando, nella pronuncia, il Giudice eccede in termini qualitativi pronunciando su una domanda diversa da quella oggetto dell’azione esercitata dando un contenuto oggettivamente diverso da quello preteso ed oggetto della domanda: la pronuncia supera qualitativamente l’oggetto della domanda: il giudice sostituisce arbitrariamente l’oggetto indicato nella domanda con altro differente oggetto con effetti differenti.
In sostanza, il Giudice si pronuncia su tutt’altra domanda: la pronuncia produce un effetto giuridico, sia sostanziale che formale, diverso dal richiesto.
Nel caso di specie, sentenza di divorzio in luogo di una pronuncia di separazione omologata, l’extrapetizione ricorre, più precisamente, quando il giudice non solo amplia l’oggetto del diritto sostanziale e potestativo di cui si chiede consensualmente la modifica –ultrapetizione- ma sostituisce arbitrariamente l’oggetto della prestazione dovuta e pretesa in luogo di una precisa domanda giudiziale di separazione legittimata dalla sussistenza delle tre condizioni dell’azione.
La sostituzione dell’oggetto della domanda causa effetti diversi –cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario o scioglimento del matrimonio civile- da quelli richiesti- separazione consensuale-.
Il verificarsi del vizio di extrapetizione –anche per l’ultrapetizione- determina l’invalidità della pronuncia-sentenza con rinvio alle forme dell’impugnazione ex art. 161 I co, 339 e 360 c.p.c.
La mancata impugnazione assoggetta la sentenza al regime della sanatoria. Ovvero, se non viene impugnata nelle forme e nei termini perentoriamente previsti, la sentenza è suscettibile di sanatoria con il suo passaggio i giudicato.
Se non è impugnata tempestivamente, il vizio è sanato e la sentenza non è più impugnabile.
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